L’Atteggiamento: il segreto della comunicazione efficace
E’ così semplice da essere ovvio: la comunicazione efficace dipende dall’atteggiamento che abbiamo nei confronti del nostro interlocutore. Il giusto, anzi funzionale atteggiamento dipende dalle convinzioni e dalle regole che sono memorizzate nel nostro database mentale, dalla nascita. E dai giudizi e pregiudizi che abbiamo. In quanto coach questo è per me un aspetto fondamentale.
Diceva Carls Rogers, noto psicologo degli anni ‘60: il giudizio è il peggior ostacolo alla buona comunicazione tra individui. Quando conosciamo qualcuno, la nostra mente tende a etichettare la persona che ci sta di fronte.
E’ un po’ come mettere una didascalia in una figurina senza nome.
Quando conosciamo qualcuno, la nostra mente formula quasi istantaneamente un giudizio: bello, brutto, simpatico, ben vestito, trasandato, superficiale, inetto, stupido, incapace, poco intelligente, e così via. Poi tende a cercare continue conferme a quel giudizio iniziale.
Nei corsi che tengo ai venditori mi sforzo di far capire loro che quando etichettano un cliente, spesso si innesca il famoso meccanismo della profezia che si avvera che funziona più o meno così: penso che di fronte a me ci sia una persona che non può permettersi l’autovettura che chiede, magari perché vestito male, o perché fa un mestiere che solitamente non è adatto al quel tipo di macchina. Senza rendersene conto il venditore assume un atteggiamento superficiale e poco convinto che alla fine convince il cliente che quello non è il posto dove vuole acquistare la sua nuova autovettura. Ma il venditore è assolutamente convinto dell’etichetta appena affibbiata. Il cliente se ne va, sentendosi trascurato e poco considerato e il venditore pensa “Visto? Avevo ragione a pensare che non avrebbe MAI comprato quella macchina”. Risultato: il cliente va a comprare la stessa macchina da un’altra parte, dove il venditore non assume atteggiamenti “pregiudizievoli” nei confronti di nessuno. Ho amici che mi raccontano che a loro è accaduto esattamente questo.
Innanzitutto dobbiamo capire che quando etichettiamo qualcuno lo facciamo con i nostri filtri, che sono costituiti dalle nostre regole e dalle nostre convinzioni. Se vedo un genitore che urla qualcosa al suo bambino e io ho una mia regola interna (ne abbiamo migliaia) che dice “i padri che urlano ai propri figli sono incapaci di educarli”, istantaneamente finirò per etichettare quel padre come “incapace di educare”, senza assolutamente sapere cosa sta esattamente accadendo veramente tra quel padre e suo figlio. Dopodiché commenterò con mia moglie: hai visto quel tipo? E’ assolutamente incapace di educare i suoi figli”. Facciamo finta, invece, che io sia un genitore convinto che l’unico modo di educare i propri figli sia piazzare una bella sgridata come si deve, quando serve. Vedendo la stessa scena penserò “Ecco un padre che sa veramente come si educano i figli” etichettando quella persona come “ottimo padre”. Anche in questo caso potrei sbagliare completamente giudizio. Di fronte a un medesimo episodio due persone giudicano in maniera opposta, a seconda delle proprie regole interne.
Ma veniamo all’atteggiamento
Supponiamo che io sia un tipo che pensa che “l’occasione fa l’uomo ladro”. Magari me l’hanno insegnato fin da piccolo ed è diventata una mia regola. Nonostante io abbia questa regola, supponiamo che un giorno dimentichi l’automobile, nel parcheggio, con la portiera aperta. Al mio ritorno non è successo nulla. Poi il giorno dopo, disattento, lascio incustodito il mio cellulare al parco, per qualche minuto, ma nessuno lo ruba. E poi una settimana dopo mia moglie dice che ha lasciato il sacchetto della spesa fuori dalla porta di casa per più di un’ora, ma, fortunatamente, nessuno se lo è portato via. Infine, a una riunione, dimentico la mia penna sul tavolo, e quando torno a riprenderla non c’è più. Ecco che scatterà la mia regola che mi farà pensare: “Visto, in fondo in fondo avevo ragione l’occasione fa l’uomo ladro: lo dicevo io!!”
Ora invece, ipotizziamo che la mia regola sia “fondamentalmente, le persone sono oneste” e che mi siano accaduti tutti gli episodi descritti sopra, ma al contrario. Ovvero, che mi abbiano rubato l’autoradio dalla macchina lasciata aperta, che io non trovi più il mio cellulare lasciato al parco e che abbiano rubato la borsa della spesa lasciata da mia moglie fuori dalla porta di casa. Alla riunione, però, nonostante io abbia dimenticato la mia penna di valore sul tavolo, incustodita per ore, al mio ritorno la trovo lì. Quindi, nonostante i tre furti precedentemente subiti, sarò portato a pensare: “Lo vedi, in fondo le persone sono oneste!”
In entrambi i casi, anche se la maggioranza degli episodi capitati in precedenza sono in netto contrasto con le mie convinzioni, l’unico episodio capitato che conferma la mia convinzione diventerà pervasivo, ovvero, annullerà i tre precedenti. Anzi non aspettavo altro che un episodio che confermasse e rafforzasse la mia regola.
Bene: che atteggiamento pensate che io abbia nei confronti di qualcuno che non conosco, se la mia convinzione è del primo tipo? Di sicuro diffidente e cauto. Ma, la persona che ho appena conosciuto, come reagirà vedendo il mio atteggiamento insicuro e sospettoso? Non certo in modo aperto. Starà sulle sue, mi darà poca confidenza e tenderà, a sua volta, a non fidarsi di me. Il suo atteggiamento, quindi, a sua volta, mi porterà a pensare. “Mmmm, mi sa che questo qui nasconde qualcosa….! Tutti i feedback successivi tra me e questa persona, pertanto, tenderanno a essere improntati sulla diffidenza.
Se, al contrario, io penso che le persone in fondo sono oneste, che atteggiamento avrò? Sicuramente aperto e disponibile. Questo, con ogni probabilità, farà sì che il mio interlocutore assuma anch’egli un atteggiamento più aperto e disponibile. O comunque ci sono molte più probabilità che sia così.
Questi episodi, diametralmente opposti, dimostrano che l’atteggiamento che assumo nei confronti degli altri determina il risultato della comunicazione che avrò. Non le persone, non i fatti, non le parole, che pure avranno la loro influenza. Ma l’input iniziale al tipo di comunicazione, lo darà l’atteggiamento.
Attenzione, non c’è un atteggiamento giusto e uno sbagliato. Nel secondo esempio, se io penso che le persone siano oneste, e mi capita un negoziatore furbo e scorretto, la mia convinzione mi porterà a prendere una fregatura. Quindi abituiamoci a parlare SEMPRE di atteggiamento che funziona e che non funziona.
A presto.
Fdb